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lunedì 1 agosto 2011

"Il villaggio che non c'è",
ecco il primo capitolo del libro





Il "Villaggio che non c'è" è un romanzo che è stato scritto live su Facebook. Un capitolo al giorno. E ogni giorno il copione originario cambiava a seconda dei consigli, dei suggerimenti, delle riflessioni e delle critiche che l’autore riceveva. E' è la storia di una farmacista che vive in un piccolo paese alle porte di Palermo. Vita (questo il nome della protagonista) è una donna che viene da una famiglia della borghesia rurale e che, fin da piccola, ha respirato l’aria della mafia. Un’aria che non le piace e che la spinge a rompere anche i legami di sangue pur di vivere la vita a modo suo: da donna libera. Ma le circostanze la riporteranno in quel mondo dal quale voleva fuggire…

Ma ecco il primo capitolo del libro.



Totuccio passava la vita a fare su e giù per le strade del quartiere. Portava le ricette alla farmacia e le medicine ai malati. E metteva da parte le mance fino a quando non aveva raggiunto quel tanto che gli permetteva di bussare alla porta di Donna Assunta, la puttana che rallegrava le serate degli operai dell’unica fabbrica del paese.
Totuccio aveva sì e no 14 anni, occhi neri e vivaci, minuto e secco secco. Ma era velocissimo nelle consegne e anche nel carpire i segreti della gente. Gli bastava uno sguardo per rendersi conto di quel che accadeva nel cuore e nella pancia delle persone. Sapeva, per esempio, che la dottoressa Vita, la farmacista, aveva smesso di fare la femmina da quando, anni fa, perse il marito in un incidente stradale. Non aveva prove, ma lo sapeva perché lo sapeva. Quando in farmacia entrava qualcuno che meritava qualche attenzione, la dottoressa Vita guardava la foto del suo povero Ninì. E Ninì, dalla foto, guardava Vita con una sguardo duro. Come se volesse metterla in guardia dallo sgarrare. E sì che la farmacista si faceva guardare. Non molto alta, ma con tutte le cose necessarie al posto giusto, labbra carnose che inumidiva spesso con la lingua, occhi verdi che svegliavano anche i morti, aiutati da una scollatura che lasciava ben poco all’immaginazione. Ma la vera sensualità della dottoressa stava nella sua semplicità, nel suo modo dolce di dire e fare le cose. Sembrava proprio che chiedesse di essere stretta tra le braccia di qualcuno, coccolata, protetta. No, Totuccio non ce la vedeva proprio fare le porcate con qualcuno.
Diversa, invece, era la signora Concettina Bellavista, moglie dell’assessore ai Vigili Urbani. Quella si vedeva lontano un miglio che campava solo per quello. Non che le mancassero le occasioni, visto che il marito, ancora giovane e forte, se la spassava con tutte quelle che volevano un posto o un’occasione per mettersi in mostra. La signora Concettina gli uomini li voleva non per soddisfare il proprio appetito, ma per sentirsi (anche per una sola ora) padrona di qualcuno. E Totuccio, sempre in giro per le sue consegne, lo vedeva quel via vai di masculi che entrava e usciva da quella villa appena alle porte del paese. Masculi che poi si vantavano (ma senza mai fare nomi) delle proprie capacità amatorie. “Non ce la faceva più nemmeno a dirmi basta, per quanto me la sono fatta”. “Minchia, picciotti. Solo io potevo tenere a bada quella furia”. Le solite cose che si dicono per apparire più di quello che si è. Come quei pescatori la cui preda cresce di peso ad ogni descrizione.
Totuccio portava ricette, medicine e metteva da parte le mance. Quel venerdì, grazie a una benedetta influenza che aveva messo a letto mezzo paese, aveva in tasca quello che gli serviva per salire da Donna Assunta. E alle otto, salì. La signora, a quell’ora, in genere aveva smesso gli abiti da lavoro, ma quella sera – complice un benedetto straordinario – non ne aveva avuto ancora il tempo.
“Buonasera, donna Assunta. Le portai due cannolicchi che so che a lei ci piacciono tanto”. Donna Assunta aprì il pacchetto, in men che non si dica amen si ingozzò i cannolicchi e poi, pulendosi la bocca col dorso della mano, disse a Tutuccio di sedersi. “Ma no scemo, non sulla sedia. Assettati sul letto”. Il letto, a dire il vero, era ancora sfatto e a Totuccio questa cosa faceva un poco di senso. Ma obbedì e si sedette lì, proprio in punta. Donna Assunta lo guardò con un sorriso. Capì il suo imbarazzo e gli accarezzò i capelli: “Vieni cumm’ia in cucina”. La cucina andava meglio. Lì, su quel letto, il bordello era davvero un bordello. Puzza di incenso e di voglie bruciate. Luci basse e rosse dove il brutto si mescolava con la violenza dei sensi senza sentimenti. Un ambiente fatto a posta per mettere in risalto carne e umori e tenere la vita fuori dalla porta.
Meglio la cucina, pensò Totuccio, grato a Donna Assunta per questa scelta. Lì, almeno, l’odore prevalente era quello del ragù che cuoceva a fuoco basso. E la luce permetteva ai due di guardarsi anche negli occhi. Oddio, il ragazzino gli occhi li aveva tra le minne di Assuntina. Minne grandi, larghe, avvolgenti. Per quel poco che le dava, la puttana permetteva, oltre agli sguardi, anche qualche toccatina. Quasi sempre fra i seni, qualche volta fra le cosce. Altro no, anche perché Totuccio, a detta di Donn a Assunta, era troppo piccolo per andare oltre.
Totuccio mise le mani in tasca per prendere le mance, ma la puttana lo fermò: “Stasera non sei nel bordello – disse – ma a casa mia, in cucina. E qui a casa io la puttana non la faccio”.
“Donna Assunta, perché lei fa la puttana?”
“Per lo stesso motivo per cui tu fai le consegne. Per campare, figghiu mio”
Totuccio, a questo punto, cominciò a parlare della sua vita. Parlò della madre che passava le giornate tra un bicchiere di whisky di pessima categoria e masculi sempre diversi. Parlò del padre che aveva conosciuto solo su alcuni ritagli di giornale gelosamente custoditi nel cassetto del comò: “Condannato a 30 anni il killer del gioielliere”. E parlò della farmacista, quella santa donna della dottoressa Vita. “Quando potevo, la guardavo da dietro la vetrina. Idda pensava che la studiavo per rapinarla, ma io invece la guardavo perché mi piaceva come si muoveva. Le passò la paura e mi volle conoscere. Mi comprò un panino e mi pigliò in simpatia. Ora faccio le commesse per lei, ma non la guardo più come prima. Ora per me è come una madre. La guardano gli altri e a me mi viene un cutugno nello stomaco”.
Donna Assunta, che di Totuccio poteva essere madre, s’assittò più comoda. Allargò le gambe e si tolse le pantofole. “Io figli non ne ho. Figli vivi, intendo, perché ho fatto tre aborti. Non ho voluto neppure sapere se erano maschi o femmine, sani o malati. Ma quanto mi manca un figlio, Totuccio mio”. Totuccio la ascoltava e non sapeva se lì, in cucina, poteva infilare le mani tra le minne. “Qua siamo in casa e non nel bordello”, aveva detto Donna Assunta qualche minuto prima. E Donna Assunta pareva che non avesse alcuna intenzione di cambiare idea.
“Vieni qua, picciriddo. Assettati sopra le mie gambe”
“Ci siamo”, pensò Totuccio. E s’assittò. Donna Assunta se lo strinse forte al petto, gli carezzo i capelli, poi gli voltò il viso per guardarlo meglio negli occhi e disse: “Totuccio, se vuoi da stasera dormi con me, come madre e figghiu”. Totuccio chiuse gli occhi e disse sì.

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oppure, in pdf, sulle librerie italiane per ebooks:
http://ultimabooks.simplicissimus.it/il-villaggio-che-non-c-e
http://libreriarizzoli.corriere.it
www.deastore.com
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www.ebookvanilla.it




L'autore
Quando Giovanni Chiappisi nacque a Palermo, il 17 giugno del 1954, non sapeva ancora cosa fare (dubbio, questo, che l'accompagna ancora adesso). All'anagrafe fa Giovanni, Salvatore, Maurizio, Maria: i primi due sono, come da tradizione, il nome del nonno paterno e di quello materno; Maurizio, invece, era il nome di fantasia che piaceva tanto a mamma ma non a papà; Maria, infine, perchè i genitori capirono hanno capito subito che al piccolo era già predisposto alle minchiate e che serviva una protezione autorevole. Sebbene abbia studiato con i sapienti gesuiti del Gonzaga, la sua passione è stata sempre quella dell'ignoto: così ha esplorato la strada delle radio libere (prima della sentenza della Consulta che ha aperto la strada a Berlusconi il quale, per questo non lo ha mai ringraziato), quelle dell'automobilismo sportivo senza una lira in tasca e infine quella della vita in barca dove ha soggiornato comodamente per quasi sette anni. Poi, come tutti quelli che non sanno fare nulla, è diventato giornalista, al Giornale di Sicilia. E la sua vita è cambiata: adesso, per le minchiate, lo pagano pure.
Ha già pubblicato per Novantacento il romanzo "Mimì" e adesso ci riprova con "Il villaggio che non c'è", un ebook distribuito da Amazon Kindle (Italian edition)

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