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lunedì 17 gennaio 2011
A 10 anni dalla morte di Jorge Amado,
cantore della negritudine brasiliana
Dieci anni fa moriva Jeorge Amado, scrittore simbolo di un Brasile che, agli inizi del secolo scorso, aveva paura di crescere e di cambiare. Amado, uomo di sinistra che, in nome delle sue idee, provò anche il carcere e l'esilio (ma anche gli onori di una elezione in Parlamento nelle fila del Partico Comunista Brasiliano), diede del suo Paese una descrizione estremamente concisa ma completa: "Il Brasile è la somma meravigliosa di ogni possibile contraddizione: in ogni uomo veramente brasiliano scorre un sangue ricco di fermenti europei, africani, indios, meticci, ed è proprio questo che rende il Brasile così magicamente colmo di luci ed ombre, così fragile, allegro, violento, e tuttavia così impossibile da dimenticare".
Amado fu l'interprete del meticciato culturale brasiliano, della "negritudine", dei ceti miseri e disagiati contrapposti alla placida borghesia pietrificata. Fu il cantore tenero e ironico della santèria, credenza religiosa importata dall'Africa, piena di riti magici, danze iniziatiche sfrenate, offerte votive di ogni genere a dèi splendenti e terribili.
Il clima politico dell'infanzia dello scrittore fu contrassegnato dalle violente lotte per il possesso della terra, e questi leggendari e avventurosi eventi furono da lui ricordati fino alla vecchiaia nei suoi romanzi epici. Amado trascorse i primi anni ad Ilheus, quindi frequentò il ginnasio a Salvador di Bahia, e infine si laureò in scienze giuridiche all'università di Rio de Janeiro. Adolescente, iniziò a scrivere per alcuni giornali.
Queste sue esperienze presero forma nella sua enorme produzione letteraria. Lì c'è il Brasile di quegli anni. Il Brasile, all'inizio degli anni '30, stava entrando in un periodo di forti contrasti. Nel 1888 era stata abolita la schiavitù domestica e agricola, ma di fatto, era continuata in modo più subdolo, con il latifondismo e le paghe irrisorie. Questa economia, prima basata sul lavoro degli schiavi neri, stava ora avviandosi verso la nuova realtà industriale e capitalistica, creando una nuova borghesia bianca, arroccata nei suoi privilegi e letteralmente terrorizzata dalle possibili rivolte dei ceti miserabili, formati quasi del tutto da neri e mulatti. V'erano state inoltre le grandi ondate di immigrati tedeschi e italiani verso le regioni del sud, più opulente e temperate. Fu così che San Paolo, allora città di provincia, divenne con la rivoluzione industriale la megalopoli più importante dell'America Latina. Questo brusco passaggio dallo schiavismo alla nuova industria creò anche una vera e propria caccia alle streghe: la nuova classe agiata tremava al solo pronunciare anche la sola parola sovversione e costruiva mille barriere e mille punizioni per coloro che si rendessero anche minimamente colpevoli di allearsi con le classi sociali sfruttate.
Amado si affermò giovanissimo con Il paese del carnevale (O pais do carnaval, 1931), in cui già si delinea la sua fisionomia di narratore realista, incline a una sorta di populismo romantico, legato alla gente e ai problemi della sua terra bahiana; seguirono Cacao (Cacau, 1933), Sudore (Suor, 1934), Jubiabá (1935), Mar Morto (1936), Capitani della spiaggia (Capitaes da areia, 1937), Terre del finimondo (Terras do Sem-fim, 1943), la trilogia I sotterranei della libertà (Os subterrâneos da libertade, 1951-54).
In seguito, il colorito linguaggio folcloristico si temperò, grazie all’introduzione di strumenti espressivi della tradizione classica. Con Gabriella, garofano e cannella (Gabriela, cravo e canela, 1958) Amado ha avviato una nuova fase di romanzi «non impegnati», di sorridente vena lirica, centrati su personaggi femminili: Donna Flor e i suoi due mariti (Dona Flor e seus dois maridos, 1966); La bottega dei miracoli (Tenda dos milagres, 1969); Teresa Batista stanca di guerra (Teresa Batista cansada da guerra, 1972); Vita e miracoli di Tieta d’Agreste (Tieta do Agreste, 1977); Alte uniformi e camicie da notte (Farda, fardão, camisola de dormir, 1979); Tocaia Grande (Tocaia Grande: a face obscura, 1984).
Alcune frasi di Jorge Amado
"I lavoratori delle piantagioni recavano il vischio del cacao molle attaccato alla pianta dei piedi, come una spessa scorza che nessun'acqua al mondo avrebbe mai lavato. Ma tutti avevano il vischio del cacao attaccato all'anima, nel profondo del cuore".
"Io dico no quando tutti, in coro, dicono sì. Questo è il mio impegno".
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