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venerdì 28 gennaio 2011

La cachaça, un profumo
che viene da lontano



Conosciuto soprattutto per essere l’ingrediente base della “caipirinha”, il più famoso cocktail brasiliano ( e settimo migliore al mondo, secondo l’International Bartender Association), la “cachaça” è l’acquavite ottenuta dalla distillazione della canna da zucchero brasiliana. L’alcolico è considerato un distillato tipicamente brasiliano, radice di una tradizione che si mescola con la storia stessa del paese.
Nata come bevanda per gli schiavi, 400 anni fa, nelle fattorie di canna da zucchero dell’allora colonia portoghese, la “cachaça” si è diffusa in Brasile prima fra i poveri, per il suo alto valore alcolico e il suo basso prezzo. Successivamente sviluppò, lungo i secoli, un un sapore e un profumo capaci di conquistare persino i gusti più raffinati. La fabbricazione artigianale permette la presenza nel mercato brasiliano di circa 5.000 marche, ognuna rappresentante di una diversità regionale, espressione del gusto e della fantasia del fabbricante stesso del prodotto. Non a caso le ““cachaças” più conosciute nel mercato internazionale sono prodotte dalle grandi aziende, con capacità organizzative adeguate a far fronte alle esigenze del mercato estero: Caninha 51, Pitu, Ypioca, Nega Fulo, Sao Cabana, Tatuzinho, Velho Barreiro sono le marche più diffuse all’estero, come nel caso dell’ Italia.

In origine la cachaça era un prodotto di rifiuto che si formava nel corso della produzione dello zucchero di canna ed era chiamata "garapa". Questa venne poi fatta bollire e scremata, così che si ottenne la "cagaça", che divenne poi cachaça.
La cachaça era ritenuta una bevanda misera, riservata agli schiavi, ma poi venne rivalutata, tanto che la tecnica per realizzarla venne raffinata: dal 1635 la cachaça iniziò ad essere prodotta a Bahia, in Brasile, dove il prezzo delle materie prime era inferiore.
La cachaça è di colore bruno trasparente, dall'odore piuttosto forte, ed è una bevanda ad alta gradazione alcolica (40-45 gradi).
I produttori di cachaça di bassa qualità tentano di nascondere il cattivo sapore del prodotto aggiungendo zuccheri al distillato. Alcuni suggerimenti aiutano a identificare la qualità della cachaça. Per esempio una buona cachaça è limpida, senza residui e possiede un aroma gradevole. Nel bicchiere si formano archi che scorrono lentamente.
I “cachaçologhi” degustano la cachaça in un calice liscio, trasparente e di apertura larga. In bocca non brucia e lascia un sapore piacevole, scendendo dolcemente in gola.
La cachaça bianca è distillata e imbottigliata al momento, mentre quella ambrata viene sottoposta a un invecchiamento in speciali barili di legno, che le danno anche un particolare aroma. Il procedimento artigianale di distillazione in alambicchi,a differenza del sistema continuo delle cachaças industriali,permette l’eliminazione della “testa” e della “coda” della cachaça, eliminando la maggior parte dei prodotti tossici (metanolo, eccetera) che danno i famosi postumi: mal di testa,ecc. La zona di produzione della canna da zucchero utilizzata, situata in “montagna”, dona a questa cachaça un sapore particolare. Per questi motivi le cachaças in questione sono considerate particolarmente pregiate.

La rivolta della cachaça. Nel 1647, i portoghesi – che allora dominavano il Brasile - promulgarono la prima legge che proibiva il consumo di cachaça. Il motivo? Temevano che la nuova bevanda potesse fare concorrenza al rhum prodotto in Portogallo. Il divieto, tuttavia, non modificò la situazione e nelle colonie si continuò a produrre e vendere la preziosa bevanda alcolica, come se nulla fosse. Anzi: nello stesso anno, cominciò il lucroso traffico illegale verso la colonia africana dell’Angola. I produttori illegali di cachaça neppure dovevano occultarsi: molti di loro, infatti, erano dei conosciuti fazendeiros che frequentavano apertamente gli oligarchi dell’amministrazione di Rio de Janeiro.
La pace durò sino al 1659, quando da Lisbona giunse l’ordine perentorio di considerare nuovamente fuorilegge, e perseguire, la produzione, la vendita ed il consumo di cachaça. Stavolta, per imporre efficacemente la volontà della Corona portoghese, in Brasile furono inviati dei funzionari regi. La repressione si manifestò duramente con la distruzione delle distillerie e lo smantellamento della forza lavoro in esse occupata, con la minaccia della deportazione coattiva degli operai nelle colonie africane come schiavi.
Gli alambiqueros si fermarono solo per qualche mese: poco alla volta si fecero meno timorosi e ripresero a distillare. Salvador Correia de Sà e Benavides assunse la carica di Capitano Generale del Territorio Sud del Brasile il primo gennaio del 1660. Il nuovo governante decise di aumentare le imposte e, poiché il commercio della cachaça aveva ripreso a funzionare con redditività, decise di liberalizzarne la vendita dietro la riscossione di una tassa. Il provvedimento, che contrastava palesemente con quanto disposto da Lisbona, entrò in vigore il 31 gennaio dello stesso anno. I funzionari locali si dedicarono a costringere i produttori e i commercianti di cachaça a pagare l’imposta, ma questi, nonostante l’intervento dei soldati, si rifiutarono di farlo. Gli scontri fra esattori e alambiqueros si fecero sempre più violenti. La situazione divenne insostenibile con la fine dell’estate quando, approfittando dell’assenza di Salvador de Sà, gli abitanti di una località nei pressi di Rio de Janeiro decisero di passare all’azione. La popolazione infuriata, guidata da un ricco produttore di cachaça, Jeronimo Barbalho, saccheggiò la residenza governativa e prese d’assedio l’edificio della Camera del Commercio di Rio, pretendendo l’abolizione dell’imposta e la restituzione di quanto già versato alle casse amministrative. Sette giorni più tardi, i funzionari di Salvador de Sà furono costretti a fuggire: Jeronimo Barbalho fu acclamato governatore da un comitato di cento produttori di cachaça e, per evitare rappresaglie militari da parte di Lisbona, giurò immediatamente fedeltà alla Corona portoghese.
Jeronimo Barbalho governò la regione con impegno e responsabilità, rimanendo in carica dai primi di novembre del 1660 al 6 aprile dell’anno successivo, quando l’azione improvvisa delle truppe del Capitano Generale del Territorio di Rio, il redivivo Salvador de Sà, colse nel sonno le sentinelle di guardia. I vecchi oligarchi si riappropriarono della città. La vendetta fu spietata. Salvador de Sà istituì immediatamente una corte marziale, i responsabili della Rivolta della Cachaça furono tutti imprigionati e Jeronimo Barbalho fu condannato a morte per impiccagione: l’esecuzione avvenne al tramonto, il sei aprile del 1961; la piazza principale di Rio de Janeiro si riempì di una moltitudine silenziosa e imponente.
Alfonso VI e Luisa de Gusmao, però, giunta a Lisbona la notizia del processo e delle rapide conclusioni cui il tribunale brasiliano era giunto, s’insospettirono e ordinarono un’indagine approfondita sui fatti di Rio. Ben presto i due sovrani vennero a conoscenza delle testimonianze raccolte dai commissari regi, costatarono l’enorme iniquità dell’imposta introdotta da Salvador de Sà, che fu immediatamente deposto ed imprigionato, ma soprattutto si convinsero dell’infedeltà di quest’ultimo che, nel corso degli anni, aveva sapientemente costruito una fitta trama di connivenze e complicità per sostituirsi, di fatto, al potere della Corona portoghese.
La Rivolta della Cachaça era stata un atto di ribellione legittimo. Jeronimo Barbalho, con il giuramento di fedeltà al Portogallo, aveva tentato di ristabilire l’ordine nella colonia lontana e per questo, assieme agli altri produttori vessati dal governatore, doveva essere riconosciuto come un eroe nazionale e commemorato per la lealtà dimostrata. Un provvedimento regio decretò la liberalizzazione della produzione, della vendita e del consumo di cachaça. Fu abolita la tassa che colpiva i guadagni degli alambiqueros e, finalmente, nel 1695 il Portogallo approvò definitivamente il commercio dell’aguardente anche al di fuori del Brasile.
Nel 1817, durante il corso della Rivoluzione Pernambucana, la cachaça divenne il simbolo del nazionalismo contro l’oppressione della monarchia portoghese. Dal 1994, è per legge definita come “prodotto culturale rappresentativo della nazione e del popolo brasiliano”.

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